Adolescenti
Il giorno in cui il bambino si rende conto che tutti gli adulti sono imperfetti, diventa un adolescente; il giorno in cui li perdona, diventa un adulto; il giorno che perdona sé stesso, diventa un saggio. Alden Albert Nowlan
Chi sono?
Cosa farò?
Cosa potrà mai rendermi felice?
Cosa sta accadendo al mio corpo?
Qualcuno mi vorrà mai bene per davvero?
Crescere è complicato.
Chi è cresciuto, raramente se ne ricorda; chi sta crescendo, spesso ancora non lo sa.
L’adolescenza è tutto ciò che sta nel mezzo. L’età del non più e del non ancora. Quel momento in cui ci si accorge che nulla sarà più come prima, ma, come ogni momento doloroso, ce ne si rende conto un istante troppo tardi.
L’adolescenza è un processo di ridefinizione di sé e dei propri confini, un percorso di scoperta del nostro potenziale che finisce per coinvolgere ogni aspetto della nostra esistenza. Dubbi su di sé, determinazione della propria identità individuale e di genere, tensioni e conflitti verso gli altri (genitori in primis) sono solo alcuni aspetti che caratterizzano questa fase di vita e che possono perfino dare l’illusione che si tratti di una strana forma di pazzia. Detesto dare brutte notizie, specialmente a genitori troppo ansiosi, ma purtroppo, non è così.
L’adolescenza non è una patologia. Eppure, a volte, potrebbe anche diventarla. Bene ora che sono riuscito ad avere la vostra completa attenzione, perché non fare un piccolo esempio tanto per capirci?
Partiamo da un’esperienza che sono certo accomuni ogni genitore e ogni adolescente degno di questo nome: il conflitto. Litigare è una cosa normale, non ha nulla di patologico e rappresenta un modo sano per affrontare tensioni e incomprensioni che appartengono naturalmente all’universo delle relazioni.
Ma purtroppo bisogna saperlo fare. Altrimenti il rischio è quello di litigare senza capirsi, spostando il conflitto dal piano dei significati (il motivo che ci porta a confliggere) a quello ben più sterile della semplice contrapposizione di volontà (si fa così perché l’ho deciso io).
Questa condizione di sostanziale incapacità a comunicare genera spesso un senso di frustrazione che col tempo può incancrenirsi, diventando una vera e propria patologia relazionale.
L’adolescente non si sente capito e rispettato per ciò che è e per come sta cercando di costruirsi, il genitore non riesce più a riconoscere il proprio “bambino” né a imporgli la propria volontà. Risultato? Tensioni continue e costanti e la percezione di una sorta di guerra permanente intergenerazionale che non potrà che risolversi con ferite quantomeno difficili da sanare.
Spesso però in questi casi diventa complesso chiedere aiuto. Da un lato l’adolescente fatica a riconoscere e ad ammettere il proprio disagio (altrimenti dovrebbe ammettere la propria dipendenza dall’adulto e l’impossibilità a “farcela da solo”); dall’altro lato il genitore entra in una spirale di sfiducia (in cui pensa che nulla potrà essere d’aiuto e che tanto oramai non sarà più possibile comprendersi) e si chiude in se stesso trincerandosi dietro un’ostilità costante.
E allora facciamo qualche passo indietro.
A quando la situazione era ancora più che gestibile.
Se solo avessi fatto quella telefonata a quello psicologo che mi avevano consigliato.
Com’è che si chiamava?